Ho scoperto questo festival per caso, un anno fa, mentre partecipavo ad una fiera. Il depliant allineava un programma denso di incontri, documentari, presentazioni di libri, mostre, spettacoli con un unico protagonista: il viaggio. Dal Tibet all’India, dalla West Coast americana all’Africa e alla Spagna, senza tralasciare l’Italia, o la piccola stradina distante solo pochi metri dalla casa in cui siamo cresciuti.
Purtroppo, le inesorabili scadenze lavorative non mi hanno permesso di esserci, ma da allora ho continuato a seguire questo festival “da lontano”, cercando di dar voce alle sue iniziative anche su questo sito o sulla rivista di cui è figlio. Nella certezza di essere spiriti affini, mossi dalla voglia di far conoscere il mondo che ci circonda, e le persone che lo abitano.
Ci sono stati gli appuntamenti primaverili alla libreria Edison di Firenze – con l’intervento in videoconferenza di Patti Smith – e gli incontri organizzati in seno al Play Art Festival di Arezzo, lo scorso luglio, che hanno visto l’intervento di scrittori, musicisti, migranti, esperti di cooperazione internazionale.
Una volta dopo l’altra, per le stesse, puntuali ragioni, non ho avuto modo di essere presente a nessuno di questi appuntamenti. Finché non sono riuscita a parteciparvi. L’occasione mi è stata offerta dal recente workshop di scrittura e fotografia di viaggio, tenutosi a Pisa tra il 15 e il 17 ottobre scorsi, nelle aule della facoltà di Lettere della Normale. Per tre giorni mi è sembrato di essere tornata indietro nel tempo – abbastanza recente, a dir la verità – e con vero piacere ho ritrovato la gioia di stare dietro a un banco, di prendere appunti e tendere le orecchie verso qualcosa che mi interessa davvero ascoltare. Il merito va a due insegnanti d’eccezione – il fotografo Andrea Pistolesi e la scrittrice Antonella Cilento –, capaci di andare oltre la semplice “lezione” sul come scattare una bella fotografia o scrivere un reportage di viaggio. Non sono mancati i consigli strettamente tecnici, certo, ma il tratto saliente di questo intenso seminario – circa 12 ore di lezione al giorno, quasi senza intervalli – è stato il felice incontro tra docenti e classe: gli uni abili ad attirare e mantenere l’attenzione con un sapiente equilibrio di suggestioni e concretezza, lodi e critiche, appunti ed aneddoti personali; gli altri entusiasti e partecipi, propositivi e spesso molto originali nell’architettare storie o nel fare commenti. Per la maggior parte del tempo, non ho avvertito nessuna distinzione tra chi stava “in cattedra” e i cosiddetti “alunni”: in aula c’erano solo 20 persone – compreso il “bidello”, Alessandro Agostinelli, ideatore e organizzatore di tutti gli appuntamenti del Festival – accomunate dalla passione per tutto ciò che è “altro”, dalla curiosità di conoscere, dalla voglia di andare.
Una volta di più, ho compreso quello che c’è, o ci dovrebbe essere, “dietro” a ogni scatto custodito nella memory card e a ogni riga salvata nel pc o annotata sul taccuino. Quanto sia importante coltivare la capacità di saper “vedere” quanto ci sta di fronte, anche quello che ci scorre davanti ogni giorno mentre facciamo la solita strada per andare al lavoro. Il vizio di allenare lo sguardo, e imparare a cogliere la realtà che ci circonda da angolature differenti, anche inconsuete. Il gusto di scoprire – o anche, semplicemente, immaginare – le storie celate dietro ai luoghi o alle persone in cui ci imbattiamo per scelta o per caso, e raccontarle sulla carta o sulla pellicola con pochi dettagli, anche con uno soltanto.
Tante piccole abilità da esercitare più spesso possibile che, unite a una curiosità innata e a un genuino interesse per tutto ciò che è “altro” (e magari a un po’ di talento), concorrono “formare” a uno scrittore/reporter/fotografo degno di questo nome.
Capisaldi fondamentali, confermati anche dagli interventi dei relatori presenti al workshop, disponibili online nel sito del Festival. Con passione palpabile, e senza lesinare strali contro chi cerca scorciatoie per appropriarsi indebitamente dell’appellativo di cui sopra, si sono susseguiti in cattedra Francesco Cianciotta, autore di una serie di ritratti in bianco e nero scattati negli aeroporti di tutto il mondo con una semplice macchina usa e getta, Luciano del Sette, giornalista di Rai e Manifesto, Antonio Politano, fotografo e giornalista del National Geographic, che hanno raccontato le proprie esperienze di viaggio da un capo all’altro del mondo e nelle redazioni di alcuni dei più noti periodici di viaggio italiani.
Nei loro racconti, e in alcuni dei loro commenti, ho ritrovato tanti dei piccoli accadimenti quotidiani che scandiscono la mia vita quotidiana di caporedattore di questa rivista, difficoltà, soddisfazioni, amare realtà e sorprese inaspettate. Se, da un canto, non è sempre facile mantenere vivi l’entusiasmo, la passione, la freschezza necessari a fare questo mestiere e – come direbbe il buon Pistolesi – in questi tempi travagliati sarebbe meglio non affidare alla scrittura o alla fotografia la possibilità di farsi una famiglia, consiglio a chiunque lo “senta veramente” di seguire questa strada. Se ci crede davvero, vedrà il suo bicchiere sempre mezzo pieno, da qualsiasi parte lo voglia guardare.
Francesca Mancosu
Il Turismo Culturale