Gianluigi Tosto

Il primo viaggio
La prima grande esperienza di viaggio l’ho fatta a New York. Avevo appena compiuto diciotto anni e preso il diploma di maturità. I miei genitori mi regalarono il biglietto per New York e l’iscrizione a un corso di inglese di un mese in un college a Staten Island. Ma l’esperienza vera e proprio cominciò una volta concluso il mese di studi. Trovai lavoro come delivery boy (portavo pranzi negli studi fotografici del mondo della moda) e grazie a questo lavoro mi potei trattenere altri cinque mesi, frequentando le scuole di recitazione locali come uditore. Fu una sorta di grande “iniziazione” di maturità e responsabilità, poiché per cinque mesi me la dovetti cavare completamente da solo. New York, all’epoca, per me rappresentava il mito del cinema, di Broadway e dei grandi attori, vivere lì fu un’esperienza elettrizzante, anche se al ritorno in Europa mi resi conto di quanto più ricca fosse la nostra cultura, anche quella teatrale, in confronto alla più giovane cultura americana.

Il viaggio più avvincente
Credo di doverlo ancora fare. Ci sono dei luoghi che mi affascinano tantissimo, come il deserto o le grandi montagne dell’Himalaya. In realtà, non credo si debba necessariamente andare chissà dove per fare un viaggio avvincente, per me è stato bellissimo anche semplicemente girare l’Italia, l’estate scorsa, da solo, con la mia Kangoo che avevo attrezzato a mo’ di piccola roulotte. Tre settimane molto on the road, scegliendo l’itinerario preciso giorno per giorno, con l’unica idea di arrivare dalla Toscana giù in Salento. In questo caso il valore più grande è stato l’essere solo, facendo incontri molto occasionali e brevissimi, non ho mai dormito più di una notte nello stesso posto, non c’era modo di legare con nessuno. In una dimensione così ti confronti molto con te stesso, nel bene e nel male, e il viaggio più importante lo fai sicuramente all’interno di te.

La città o il luogo preferiti
Fra i luoghi visitati negli ultimi anni, credo di essere rimasto particolarmente affascinato da Lisbona. Vi andai nel 2006 per lavoro, ma fu un’esperienza di vita che andò ben oltre la dimensione lavorativa. Si delineò, durante quel soggiorno, la possibilità di allacciare dei rapporti di lavoro piuttosto stabili, cosa che poi non si avverò, ma tale prospettiva non mi sarebbe dispiaciuta affatto. Si respirava un’aria molto più rilassata nei tempi e nei ritmi quotidiani, una sensazione di sospensione fra l’antico e un moderno verso il quale la città si protendeva ma che ancora doveva raggiungere. Provai un certo desiderio di essere adottato da quella città.

Il libro preferito
Questa è una domanda difficile. Ho sempre letto molto, anche per lavoro, e di libri belli ne ho letti tanti. Per vari motivi, c’è un autore al quale mi sento particolarmente legato, negli ultimi anni, per l’appunto anche di lui di Lisbona: si tratta di José Saramago del quale ho interpretato, in scena, il suo “Vangelo secondo Gesù Cristo”, un vero capolavoro, come altri suoi libri, non solo per il contenuto e la profondità del suo sguardo sull’Uomo, ma anche per l’originalissimo stile di scrittura che gli è valso il premio Nobel.