Antonio Politano

Il primo viaggio
Oh, qual è il primo viaggio? Forse, quello a cui rimontano i ricordi più lontani. Beh, mi torna alla mente una sera, nei nostri lettini, io e mio fratello gemello, quasi pronti per dormire, comunque sotto le coperte – era inverno – e mio padre che entra nella nostra camera e domanda/annuncia: bambini, volete venire con me? Andiamo a Milano. E noi che, stupiti, deliziati, intoniamo A Milano (di chi era?), l’eccitazione per la partenza, il sonno pacificato dalla prospettiva. E poi i mille km di autostrada, il trambusto della Fiera (mio padre era rappresentante, a suo modo un viaggiatore), un plastico con un trenino che sparisce dentro una montagna, la scoperta della metropoli del nord, la gita sul lago vicino. Se no, altro ricordo, questa volta adolescenziale: la risalita di un torrente, saltando da una pietra all’altra che lo punteggiava, all’ombra di grandi alberi, non lontano dalla piccola città in cui sono nato e da cui sono scappato, guidati dal fidanzato di mia sorella maggiore, un mondo altro che si apriva, il gusto di una piccola avventura, quieta, vera, che è rimasto evidentemente dentro. E ancora la musica di quel periodo, i Genesis di Nursery Crime, Foxtrot e Selling England by the Pound, mai dimenticati.

Il viaggio più avvincente

Difficile dire. Il Brasile post-laurea, libero, leggero, prima in due, poi in tre, alla fine da solo, pieno di incontri. Prima a Rio, poi al sud, infine al nord, Amazzonia, gli indios, i puma e gli anaconda, il barcone sul fiume immenso, la spiaggia di Canoa Quebrada, una ragazza che mi canta Menina do anel di Caetano Veloso, da allora must personale. Viaggio con coda in Marocco, al ritorno scalo a Casablanca, la corriera per Marrakech, il bianco e le ombre della medina, il freddo dell’inverno. E poi un altro viaggio, molto più avanti: la traversata, in solitaria, del deserto, il Sahara. Dopo quasi tre anni di lavoro per le Nazioni Unite in Africa, nel Benin del vudù e del marxismo-leninismo applicato all’africana, con influenze libiche e albanesi (times are changing). Il bisogno di non tornare in Italia con un salto in aereo, ma conquistando piano la distanza, come direbbe la Cvetaeva. Due mesi attraverso il Sahara, dall’Atlantico fino a Tunisi. Navigando con bussola e mappe, seguendo le balises, tra tempeste di sabbia, incontri con nomadi, autostoppisti, musulmani in viaggio verso La Mecca, camionisti, militari, cacciatori di gazzelle. Piste, roccia, sabbia. Stavolta, in sottofondo, soprattutto De Gregori (Capo d’Africa, Atlantide, bisogno di buone parole in italiano) e Purcell (la suite del King Arthur).

La città o il luogo preferiti

Esiste, esistono? Non credo, il viaggio è ricerca, probabilmente, se si ha diritto a rintracciarne qualche essenza. Ma tutto è relativo, dipende dal punto di osservazione. Ma sto al gioco. E perciò Parigi di certe passeggiate e di un pezzo di studi, e New York, energia pura, la sensazione di stare nel film, milioni di luci pre-Torri, E poi una certa Polinesia, fuori dai luoghi del turismo o dalla piccola capitale, su qualche stradina lungo la laguna o dentro l’acqua vicino alla barriera corallina, a contemplare/vivere la bellezza della natura pura, colorata, languida. Parziale, contraddittoria (il nucleare, il modello dominante francese, ecc.), ma percepibile. E lì mi sono sentito – a volte – a casa, mi è venuto a volte da dire. Paradossale, perché da casa sono scappato. E non è che sia affezionatissimo al concetto di casa. Bene, a casa. Come a volte è successo in Africa, in certe Afriche. Forse la sospensione che si avverte, il prevalere di una natura in qualche modo armonica, il respiro di ciò in cui sei immerso.

Il libro preferito

Chissà. Professore di desiderio di Philip Roth, misconosciuto e fuori catalogo (finché si decideranno a dargli il Nobel), educazione sentimentale, ricerca di luoghi, ricerca dell’amore, ricerca di senso, con cechoviana umanità, compassione. Qualche sprazzo di beat generation, pezzi di Ginsberg e di Kerouac. Molte poesie di Baudelaire, per esempio: «O sorprendenti viaggiatori! Che nobili racconti / vi leggiamo negli occhi, come mari profondi! / Su, mostrateci gli scrigni della ricca memoria / quei gioielli meravigliosi fatti d’astri e d’etere. / Vogliamo andare senza vela e senza vapore! / Perché possa rallegrarsi il tedìo delle nostre celle, / fate sugli spiriti nostri, tesi come una tela, / trascorrere i ricordi incorniciati da orizzonti. / Dite, che avete visto?».

Antonio Politano per Il Milione – Festival del Viaggio