Caro turista che stai pianificando una gita o un soggiorno a Venezia, prima di prenotare fermati e rifletti. Quella che immagini essere la “città più bella del mondo” non è nemmeno più una città, ma un luogo in mano a speculatori che di “originale” non ha proprio nulla. Ricorda: quando porgerai i tuoi soldi all’affittacamere, al ristorante o al negozio di souvenir finanzierai chi ha sfrattato i residenti sostituendoli con lavoratori precari che non guadagnano abbastanza per viverci.
Chi parla del turismo come l’”oro del terzo millennio” osservi gli stagisti nelle reception o l’esercito di camerieri e cuochi stranieri costretti a dividere un alloggio in Terraferma. Perché quella che gli amministratori chiamano “capitale mondiale della sostenibilità” non prevede abitanti: gli edifici che prima ospitavano famiglie sono diventati hotel ed “affittanze” dove l’unica abilità richiesta ai dipendenti è quella di “sapersi adattare”.
Per rendersene conto basta guardare i numeri: se nel 1951 Venezia aveva 174.800 abitanti, oggi ne conta appena 50.412, prevalentemente anziani, mentre il dato più eclatante riguarda i posti letto delle attività ricettive, passati dai 12.955 del 1997 ai 59.373 del 2019: quasi cinque volte tanto. Lo stesso avviene per i bar, giunti a quota 1.468 di cui 420 aperti negli ultimi 7 anni: business dell’”ultima ora” che di Venezia hanno solo lo stereotipo, dove alla richiesta di un’informazione vi risponderà qualcuno che ne sa ancora meno di voi.
Perché il turista è solo un numero, un pollo da spennare, che importa se ciò che gli si dice è falso. Anzi, meglio ricorrere al luogo comune, alle “maschere”, alle “gondole” e a “Casanova”, visto che il minimo comun denominatore fa incassare molto di più.
Se vi aspettate cultura e tradizione troverete l’esatto opposto, vi sentirete addirittura insultati. Ma quel che è peggio è che i posti in cui dormirete, in cui vi sederete, in cui farete acquisti hanno alle spalle storie tristi di famiglie che, in nome del “turismo”, sono state esiliate dal luogo in cui sono nate e cresciute.
Questo perché il mercato non è mai stato regolato e a trarne vantaggio è la minoranza dei veneziani, proprietaria di immobili, che in barba ad ogni scrupolo non ha rinnovato i contratti d’affitto ma ha ceduto ad agenzie, multinazionali, imprenditori dalle dubbie referenze.
Così dove prima c’erano una casa o un negozio di vicinato ecco un “Ca’ Arlecchino”, uno snack-bar o una rivendita di paccottiglia, tutto rigorosamente finto, mentre i veneziani veri, portatori della cultura, dei valori e della tradizione, hanno fatto le valigie e vivono a malincuore in qualche palazzone di provincia, parlando con nostalgia della loro città che ora non esiste più.
Tutto ciò che gravita intorno a Venezia è l’avidità dei proprietari che hanno preferito la rendita, quelli per cui “cento euro in più fanno la differenza”, che non hanno alcuna remora a dare l’aut-aut a un artigiano, a una coppia di anziani, a una famiglia con bambini.
La loro ingordigia ha innescato un circolo vizioso nel quale, mancando gli abitanti, hanno chiuso scuole, ospedali e servizi cancellando così altre professioni che permettevano di far fronte agli affitti sempre più onerosi.
L’appello di “non venire a Venezia” può sembrare forte, secondo alcuni “controproducente” perché toglierebbe ai lavoratori del turismo “anche quel poco” che permette loro di sfamarsi, ma è l’unica soluzione per affrancarsi dalla speculazione, per far tornare la città quel luogo che merita di essere. Perché è solo boicottando la catena d’hotel, l’affittacamere o il ristorante con “buttadentro” che i proprietari inizieranno a non incassare più e a porsi delle domande: gli affitti scenderebbero e tornerebbero i giovani, le famiglie.
Se non verrai a Venezia sarà un vantaggio anche per te, visitatore, che tra qualche anno tornerai e ti sentirai ospite di una città viva, osserverai i bambini giocare, mangerai a fianco di un residente, e quando rincaserai porterai nel cuore questi ricordi invece degli stereotipi, delle calche e della paccottiglia. Ma soprattutto non alimenterai il conto in banca di chi ha ereditato una casa o un negozio ma, invece di rimboccarsi le maniche come il nonno e il padre, vive di rendita tra mete esotiche e abiti di lusso senza curarsi di chi ha sfrattato e di chi, al suo posto, abbassa la testa per “contratti” precari tra stanze doppie, piatti e chincaglieria che di “veneziano” non hanno proprio niente.
Un (ex) Veneziano
[tratto da La Voce di Venezia]