Cicloviaggeremo per scoprire l’Italia, dicemmo nei più bui momenti del lockdown. Per essere di parola abbiamo armato la bici di borse laterali e ci siamo messi sulle tracce di AIDA (Alta Italia Da Attraversare), progetto di ciclovia stilato dalla FIAB che unisce il Moncenisio a Trieste, tagliando tutto il Nord Italia. Rispetto alla Venezia-Torino che segue il Po, AIDA si muove più a settentrione: Torino, Milano, la bergamasca, il Garda, Verona, Padova, Mestre, Udine, Pordenone e Trieste. Lo fa cucendo percorsi già esistenti, dai cammini come la Francigena, la Postumia e la Romea Strata ai percorsi su fiumi e canali. È anche un modo per attraversare i territori dove il virus più duramente ha colpito, un piccolo omaggio alle terre purtroppo assurte per motivi tristi agli onori della cronaca.
Da Torino
Per comodità siamo partiti da Torino, il che vuol dire da Firenze un viaggio di nove ore in treno. Il discorso sul trasporto ferroviario delle biciclette è molto lungo, risultando il livello del servizio in generale inadeguato: stazioni con scale ripide e ascensori piccoli, quando ci sono, carrozze con gradini altissimi per ingresso e uscita, spazi angusti, fissaggi scomodi e approssimativi. Per un’integrazione col cicloturismo e la mobilità in bicicletta ce n’è da fare. La città dorme ancora quando usciamo seguendo nel verde il Po: lo lasceremo solo a Chivasso, la chiave per tutte le Gallie, città francigena e simbolo di un paesaggio industriale che non c’è più (qui si facevano fino all’inizio dei Novanta le Lancia). Passata la Dora Baltea si punta su Vercelli. Il paesaggio ora è Mekong ora è Idaho, ovvero si passa velocemente dal riso al granturco, vero protagonista di questo viaggio. Cascine in rovina si alternano ad altre magnificenti: davanti ad una di queste un vecchio cimitero galleggia in una risaia, con le piante che hanno preso discretamente il posto dei defunti. L’argine pietroso del Sesia, dove le ruote faticano, e strade agricole menano a Novara, primo quartiertappa.
Da Milano al Garda
Seguendo canali, il Cavour prima e il Villoresi poi, pieghiamo verso Milano. Del celebre Conte avevamo veduto il giorno prima la fattoria dove fu, parola di lapide, “sagace agricoltore”; la struttura è, ahimè, in rovina. I percorsi lungo i canali sono ben fatti, ben segnalati, anche ombreggiati: una grande ricchezza paesaggistica che caratterizza tutto il nord. In breve penetriamo la città larga di Milano sfruttando la pista aperta per Expo. Lasciata Rho ci si immette nel nuovo quartiere del Portello, che prima era patria delle Alfa Romeo. Milano è caldissima e caotica, con un gran numero di clacson. Qui il virus ha lasciato una scia lunga di inquietudine. Volentieri ci fermiamo per la tappa numero due.
Al mattino presto abbandonando Milano si imbocca un altro canale, la Martesana. Acque invitanti, come ovunque, quantunque perlopiù non balneabili. Ben presto si passa l’Adda, uno dei climax emozionali del viaggio; perché ci si sente Renzo ad ascoltare la “buona voce” del fiume, e perché la campana che rintocca non appena traversato il ponte ci rammenta che entriamo nella bergamasca, epicentro del virus. Per strada tanti negli anziani sorridenti, ed è triste pensare che moltissimi come loro non ce l’hanno fatta. Il caldo picchia fendenti micidiali mentre ci si approssima all’Oglio. È tutto un fermarsi nei bar come i soigneurs d’antan, a caccia d’acqua e ghiaccio da mettere nelle borracce. Quando funzionano e puntano sulla strada sono provvidenziali anche gli irrigatori, docce miracolose che assicurano temporaneo refrigerio. Traversata Brescia si monta su un curioso ponte romano pavimentato di ciottoli per arrestarsi ai margini del Garda, a Bedizzole, quartiertappa perso nella campagna.
Da Verona a Padova
La parte delle colline moreniche del Garda è l’unica di tutto il tracciato con qualche altimetria: poca roba, ma che con una bici carica può diventare impegnativa. Siamo nelle terre dove si guerreggiò per l’indipendenza italiana, e la torre dell’ossario di San Martino si erge in cima a uno degli strappi più duri. Tra filari ininterrotti di vigneti si fa ingresso a Verona, e poi attraverso la campagna assolata, nella quale i vigneti hanno da tempo preso il posto del riso mentre il granturco ancora giganteggia, si raggiunge la ciclabile del Bacchiglione, fiume bellissimo con anse sinuose tipo Rio delle Amazzoni. Peccato che il nastro sterrato sia tutto esposto al sole. Alle porte di Padova giungiamo esausti.
Prima Mestre, poi Trieste
Seguendo la riviera del Brenta con le sue ville si punta su Mestre, città tanto ciclabile che per i forestieri è dura seguire l’Intreccio dei percorsi. Quello sulle ciclabili cittadine e paracittadine è un altro discorso da fare, nel quale Mestre fa eccezione decisa: residuali, spesso incastrate per non dare fastidio, mal segnalate, sfocianti nel nulla, le ciclabili urbane rimangono ancora un punto oscuro che spesso, più che proteggere i ciclisti, ne mettono a repentaglio l’incolumità, propria e altrui. Inizia poi il tratto forse più bello di tutto il viaggio, quello lungo il Sile. Una pista ombreggiata lungo il fiume tortuoso che punta su Treviso, un piccolo paradiso terrestre di flora e fauna con acque freddissime, punteggiato di osterie. Ad una di queste, a Casier, sperimentiamo la biodiversità cicloturistica: ad una tavolo si adunano due milanesi che seguono la via Postumia, due romani che puntano verso la ciclabile delle Dolomiti e due olandesi diretti a Villach. Inizia il tratto friulano, che dal punto di vista della ciclabilità è il meno strutturato di tutto l’itinerario. È emozionante, però, scendere con dolcezza verso il mare dopo la salita di Duino, e infine una volta traversato il porto vecchio tra dock ristrutturati e fatiscenti arrivare nella grande piazza di Trieste, dove è situato l’immaginario striscione d’arrivo. Ora si può derogare ai sacrifici atletici e andare in piacevole compagnia per osmize, le osterie temporanee che punteggiano il Carso.
Fatelo anche voi
Per chi fosse interessato, il percorso è sul sito www.aidainbici.it. Il mezzo migliore per questo itinerario è una bici gravel, o una da trekking/cicloturismo con coperture generose che aiutano nei moltissimi tratti di sterrato (preparatevi a vivere impolverati se fa caldo o fangosetti se piove). Tratti un minimo disagevoli solo tra Vercelli e Novara, per la presenza di pietre e ciottoli, ma senza mai scendere. Sarebbe meglio scegliere periodi di caldo tollerabile, perché tanto del percorso non gode di ombra. Come già detto, altimetria irrilevante tranne nella zona del Garda: il ciclista mediamente allenato può, dunque, seguire il ritmo proposto dal sito (circa 90/100 km al giorno) per fare anche del turismo, oltre al biciclettare.
[Reportage di Riccardo Ventrella]