Vietato viaggiare in pandemia…

redazione 31 dicembre 2020 Commenti disabilitati su Vietato viaggiare in pandemia…
Vietato viaggiare in pandemia…

Un racconto di Francesca Giommi sull’anno che (per fortuna) se ne va.

Se abiti da dieci anni a Cattabrighe, e in quei dieci anni hai sempre visto davanti a te la Strada Statale Adriatica 16 che esce da Pesaro e va verso Cattolica e dalle Marche lì entra in Romagna (ma che a voler essere più precisi e meno localistici, e a guardarla da su in giù, in realtà inizia a Padova e finisce a Otranto in provincia di Lecce, e con i suoi 1000 km è la più lunga strada statale italiana–e in fondo da quando ci abiti ti ha sempre fatto comodo perché a chiunque lo dici, che venga da su o da giù, se rimane sempre sulla statale senza lasciarla mai prima o poi a casa tua ci arriva), e se a volte ne hai anche sofferto il traffico, lo sfrecciare delle auto e il grigiore dell’asfalto, basta una pandemia qualunque per girarti di spalle e scoprire un mondo nuovo. Sì perché, se abiti lì sulla statale all’altezza di Cattabrighe, in provincia di Pesaro e Urbino, sul 43° parallelo nord, e ti giri verso est, in mezzo tra te e il mare hai il Parco Naturale del Monte San Bartolo, 1.584 ettari (virgola 04 per la precisione) di meraviglia senza eguali.

Con i suoi 17 km di tortuosa strada panoramica che lo attraversa alla sommità collegando Pesaro a Gabicce e viceversa–ospitando coppiette da tempi immemori–, e con i numerosi sentieri e sentierini che dalla via principale si diramano e s’infiltrano tra alberi, cespugli e arbusti come tante arterie e arteriuzze, il San Bartolo è il paradiso dei camminatori, dei ciclisti, dei bikers (che anche Valentino–che nonostante l’accento e l’aspirazione romagnola è marchigiano come noi perché è nato a Tavullia, che sta sul confine ma inequivocabilmente più di qua che di là–lo dice a tutti i gran premi, anche in Malesia se lo intervistano, che lui le curve in moto ha imparato a farle in pano, e intende proprio quella panoramica lì), e anche di quelli che vanno a cavallo, ma che di preciso come si chiamino non si sa.

Tu però, che da quando ci vivi (perché dieci anni fa ti sei ritrasferita da Bologna nella tua città natale, cambiando d’improvviso radicalmente orizzonti, vita e professione), batti in lungo e in largo il Montefeltro con inglesi e americani, o addirittura cinesi e coreani quando capitano, e che se poi per lavoro, svago o passione ti devi mettere in viaggio vai semmai a Londra, Parigi e Cracovia, o addirittura a New York, Los Angeles e Kathmandu quando proprio vuoi strafare, il tempo per girarti di spalle verso est e salir su a piedi in 30 minuti fino a Santa Marina Alta credi di non averlo mai avuto, e non sai cosa ti sei persa nella vita.

Poi d’improvviso ti arriva una pandemia mondiale, che ti chiude in casa (e non si sa perché anche in Italia lo chiamano lockdown), e da mattina a sera, e talvolta anche da sera a mattina se l’ansia non ti fa dormire, non fai che sentire alla tv che è vietato uscire (e figuriamoci viaggiare), che puoi solo andare a comprare viveri se ne hai bisogno (e se passi 10 ore al giorno a panificare prima o poi la farina ti finisce per forza, anche se ne avevi scorte industriali), ma per farlo devi munirti di guanti, disinfettante e mascherina, e soprattutto compilare e stampare una certificazione che vale più di un atto giuridico con triplice bollo (ad avere una stampante e a sapere esattamente a quale DPCM siamo arrivati), o al massimo, senza incartamenti, puoi fare 200 metri intorno all’isolato con un cane, se solo ce ne avessi uno.

Allora insomma, tu che sei una pratica e realista, che capisci perfettamente la situazione e che le regole le hai sempre seguite alla lettera anche quando violavano le tue libertà individuali (tranne quella volta ad Accra che ti avevano detto che una donna bianca e sola non poteva girare per una capitale africana di sera, ma tu sei sicura anche a distanza di 15 anni che ti avevano detto solo “altamente sconsigliato” e non “assolutamente vietato”, e per fortuna i tuoi genitori non l’hanno mai saputo), insomma tu ti ci sforzi sinceramente, e un po’ all’inizio ti ci rassegni pure, a fare esercizio fisico in camera sbattendo tra letto e armadio se ti allunghi troppo sul tappetino, a cenare un po’ sul divano e un po’ seduta sulle scale quando ti sembra che non hai mai consumato così tanti pasti in casa da quando vivi lì, a iniziare I Fratelli Karamazov che ti eri tenuta da parte per la pensione, a guardare in streaming film indiani che ti eri appuntata sulle agende dai tempi del dottorato. E passi un mese, passino due, ma a fine aprile l’odore della primavera ti arriva anche su al secondo piano senza balcone, e una qualche via di fuga la devi pur trovare.

Che tu non abbia scarpe della stagione giusta nei ripiani più in basso, ti ricorda che in effetti non esci di casa da un po’, e che forse avresti dovuto farti coraggio anche prima, ma mai avresti potuto essere più felice e consapevole che il tuo sacrificio abbia contribuito ad una giusta causa collettiva (e che magari, più o meno direttamente, il tuo indossare pantofole per mesi potrebbe aver anche salvato qualche vita, ma questa forse è un po’ troppo grossa per illudertici e vantartene troppo). E allora, senza ulteriore indugio, prendi le scarpe da runner che trovi nella borsa della palestra rimasta da gennaio di fianco alla lavatrice, che quelle vanno bene in tutte le stagioni e per tutte le occasioni ed evenienze (soprattutto se ti accingi a fare una cosa che Conte ha appena ripetuto da Roma per l’ennesima volta a reti unificate che non potresti fare, e col dubbio che magari proprio sotto casa tua, nella propaggine nord delle Marche, proprio oggi e proprio a quest’ora ci sia una qualche pattuglia in giro a vigilare).

Ovvio che prendere l’auto parcheggiata da ormai 60 giorni sotto casa sia da escludere, che se non puoi andare né a Fano né a Urbino senza un motivo, men che meno potresti risalire la Strada Statale 16 in direzione nord e tentare di attraversare il Tavollo (che lì si tratterebbe di andare in un’altra provincia e addirittura in un’altra regione, e ci son posti di blocco e trincee che nemmeno tra Etiopia e Somalia le hai incontrate), e allora dove ci vai in auto che di strada sotto casa tua ne passa una sola e non ti ricordi nemmeno più se ci sia benzina?

Tanto vale girarsi di spalle, che la statale è troppo grigia e asfaltata per un qualunque tentativo di evasione pedonale che voglia dirsi anche un minimo ricreativo, e iniziare ad andar su a fatica a piede lesto in quel sentiero perpendicolare che collega la più lineare e trafficata Adriatica, all’amena, verdeggiante e salutista Panoramica (e anche un po’ licenziosa a dirla tutta, se ripensi a quando ci andavi in macchina ai tempi del liceo, o magari se non ci andavi proprio tu in persona, perché avevi troppo da studiare, di sicuro ci andava la tua compagna di banco più scafata, col primo fidanzato–e magari anche col secondo e con il terzo–e il giorno dopo te lo raccontava in classe durante l’ora di latino, dopo che tu le avevi passato la versione).

Le focacce sfornate alla perfezione, farcite con gli ultimi insaccati e rimasugli di formaggi trovati in frigo e sfoggiate con grande orgoglio su facebook nelle ultime settimane, ti hanno tolto un po’ di sprint in salita, ma a ogni passo senti l’aria fresca di un maggio che sta per cominciare riempirti le narici di odor di tiglio e libertà, e inebriarti l’animo. Su dalla piazzola di Santa Marina c’è uno spettacolo così mozzafiato, che l’altro affanno te lo sei subito dimenticato, con la falesia a picco sul mare in un’esplosione gialla e selvaggia di ginestra odorosa, con il mare blu e piatto a perdita d’occhio e la Croazia dall’altra parte, che secondo alcuni si vede in giorni particolarmente limpidi, secondo altri è impossibile da vedersi a occhio nudo, ma che importa ora, tanto sei sola e non devi certo far a gara con nessuno a chi ne riconosce meglio i profili.

Respiri profondamente, la salsedine ti inonda come fa da marzo a ottobre con le viti prima e con i grappoli poi, rendendo questi nostri vini cresciuti tra il cielo e le acque così robusti e particolari, e ti dici che se quassù ci fossi venuta qualche annetto fa, magari la 17 mile drive da Pacific Grove a Pebble Beach in California tra campi da golf e ville milionarie che hai attraversato quella volta con la Mustang in quella indimenticabile vacanza con quel tuo fidanzato, ti avrebbe estasiata un po’ di meno.

E poi le runner vanno da sole, e il limite dei 200 metri l’hai superato già da un pezzo e Conte e Burioni non ti ricordi più nemmeno chi siano, eppure vai. E mentre davanti ai tuoi occhi scorrono alture, prati e filari, vigne e campi di grano ancora tenero che nemmeno in Camargue hai mai visto così tante variazioni di verde, e addirittura guardando in lontananza verso ovest scorgi le torri della più antica Repubblica del mondo (che è all’estero anche se uno stradone a quattro corsie ci arriva dritto da Rimini, e se varchi la sua dogana espatri con tanto di timbro sul passaporto se proprio lo vuoi come gli americani che pagano volentieri cinque euro pur di averlo), e castelli medievali maestosi quanto quelli della Cornovaglia, con storie d’amore tragiche e lotte intestine tra famiglie nemiche degne del Sommo Poeta, ti auguri in fondo al cuore che di questa tua escursione clandestina non venga mai a saperne nulla nessuno, che lo sanno fino in Cina che in pandemia è vietato viaggiare.

Francesca Giommi
Cattabrighe (PU)
 – Anno pandemico 2020

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